Londra raccontata nei libri. Non so a voi, ma a me gli anni di studio di letteratura inglese hanno lasciato impressa nella mente una Londra letteraria e (quasi) una sola: quella un po’ cupa, sporca di fuliggine, animata da azzeccagarbugli ed eroi orfanelli di Charles Dickens. Tutt’al più, a questa fotografia si alterna la Londra dandy e un po’ “maledetta” di Oscar Wilde e dei suoi aforismi. Flusso di coscienza assolutamente personale, of course!
Anche perchè la letteratura anglosassone, a cominciare dai mostri sacri di ‘700-‘800 in poi, ci ha regalato e continua a regalarci scenografie londinesi tra le più svariate. Qui, proseguendo il gioco lanciato con Barcellona e New York, ne ho raccolte dieci. Dieci opere e dieci incipit. Voi quale preferite?
Nessun dove (Neil Gaiman): Immaginifica
“Richard Mayhew non si stava divertendo molto quella notte, l’ultima prima di andare a Londra.
Aveva iniziato la serata in modo piacevole: si era divertito a leggere i messaggi di saluto e a ricevere l’abbraccio di numerose signorine di sua conoscenza non del tutto prive di attrattiva; si era divertito ad ascoltare gli avvertimenti relativi ai rischi e ai pericoli di Londra e per il dono dell’ombrello bianco con la piantina della metropolitana londinese che i ragazzi gli avevano acquistato tutti insieme; aveva apprezzato i primi boccali di birra; poi, però, a ogni ulteriore boccale si era reso conto di divertirsi sempre meno, e da quel momento se ne stava seduto a tremare sul marciapiedi davanti al pub, valutando gli opposti pro e contro del dare di stomaco o meno, senza divertirsi affatto”.
Peter Pan (James Matthew Barrie): fanciullesca
“Tutti i bambini crescono, tranne uno. Lo sanno presto che cresceranno e Wendy lo seppe a questo modo. Un giorno, quando aveva due anni, giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre. C’è da immaginare che la bambina, in quell’atteggiamento, sembrasse deliziosa poiché la signora Darling appoggiò le mani al cuore ed esclamò: “Oh, perché non puoi restare così per sempre?” Questo fu tutto quanto passò tra di loro sull’argomento, ma, da allora, Wendy seppe che sarebbe dovuta crescere. Tutti, dopo i due anni, scopriamo questa verità. I due anni sono il principio della fine”.
Il mastino dei Baskerville (Arthur Conan Doyle): indagatrice
“Sherlock Holmes, il quale di solito si alzava molto tardi al mattino – eccetto i casi tutt’altro che infrequenti in cui rimaneva in piedi tutta la notte – era seduto al tavolo della prima colazione. Io mi ero chinato sulla stuoia distesa accanto al caminetto e avevo raccolto il bastone da passeggio dimenticato dal nostro ospite della sera innanzi. Era un bellissimo esemplare di solido legno, dall’impugnatura a bulbo del tipo noto col nome di “Penang lawyer“.
Oliver Twist (Charles Dickens): vittoriana
“Fra i vari edifici pubblici di una certa città, che per diverse ragioni sarà prudente astenersi dal menzionare, e alla quale non attribuirò nessun nome fittizio, ce n’è uno da sempre comune alla maggior parte di esse, grandi o piccole che siano: vale a dire un ricovero per mendicanti. Là nacque, in un giorno e anno che non mi preoccuperò di precisare, visto che allo stato la cosa non riveste alcuna importanza per il lettore, il rappresentante del genere umano il cui nome precede l’inizio di questo capitolo”.
Il ritratto di Dorian Grey (Oscar Wilde): dandy
“Lo studio era pieno dell’intenso odore delle rose e, quando il dolce vento d’estate serpeggiava fra gli alberi del giardino, per la porta aperta entrava la pesante fragranza dei lillà o il profumo più sottile dei rovi in fiore.
Dall’angolo del divano ricoperto di tappeti persiani, sul quale giaceva, fumando, com’era sua abitudine, innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton poteva appena afferrare il barlume giallo miele dei dolci fiori di un citiso, i cui tremuli rami pareva che non ce la facessero a sopportare il peso di una bellezza così fiammeggiante; e, a tratti, fantastiche ombre di uccelli svolazzavano attraverso le lunghe tende di seta tussorina tirate davanti all’immensa finestra, producendo una specie di momentaneo effetto giapponese e facendogli pensare a quei pallidi pittori di Tokyo dal viso di giada, i quali, mediante un’arte che è per necessità immobile, cercano di suggerire il senso della rapidità e del movimento”.
1984 (George Orwell): inquietante
“Era una luminosa e fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi. Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui”.
Il diario di Bridget Jones (Helen Fielding): pasticciona
“COSE DA EVITARE
Bere più di quattordici alcolici la settimana.
Fumare.
Buttar via i soldi per: impastatrici, gelatiere o altri marchingegni da cucina che non userò mai; libri di autori illeggibili da mettere in libreria per fare scena; biancheria sexy, inutile in quanto sfidanzata.
Comportarsi in modo sciatto in casa: fingere sempre che qualcuno ti stia osservando.
Spendere più di quel che guadagno”.
Denti Bianchi (Zadie Smith): multietnica
“Presto nel mattino, tardi nel secolo, Cricklewood Broadway. Alle 6,27 dell’1 gennaio 1975, Alfred Archibald indossava un abito di velluto a coste ed era seduto a bordo di una Cavalier Muskeeter Estate, con la faccia riversa sul volante. Sperava che il giudizio divino su di lui non fosse troppo severo. Giaceva abbandonato in avanti, la bocca molle, le braccia a croce, spalancate ai due lati, come un angelo caduto; nei pugni stringeva le medaglie dell’esercito (a sinistra) e la licenza matrimoniale (a destra), perché aveva stabilito di portare i suoi errori con sé. In un occhio gli si rifletteva una lucina verde: segnalava una svolta a destra che aveva deciso di non fare. Era rassegnato. Era preparato a tutto questo. Aveva gettato in aria una moneta e si era attenuto rigidamente al risultato. Si trattava di un suicidio premeditato. Anzi, della sua risoluzione per l’Anno Nuovo”.
Alta fedeltà (Nick Hornby): rockeggiante
“Ecco, per stilare una classifica, le cinque più memorabili fregature di tutti i tempi, in ordine cronologico:
1) Alison Ashworth
2) Penny Hardwick
3) Jackie Allen
4) Charlie Nicholson
5) Sarah Kendrew
Ecco quelle che mi hanno ferito davvero. Ci vedi forse il tuo nome lì in mezzo, Laura? Ammetto che rientreresti tra le prime dieci, ma no c’è spazio per te tra le prime cinque; sono posti destinati a quel genere di umiliazioni e di strazi che tu semplicemente non sei in grado di appioppare”.
Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde (Robert Louis Stevenson): ambigua
“Il signor Utterson, di professione avvocato, era un uomo dall’aspetto burbero, mai illuminato da un sorriso; freddo, asciutto e impacciato nel parlare, restio ai sentimenti, magro, allampanato, trasandato e tetro; ma nonostante tutto con un che di amabile. Nelle riunioni con gli amici, quando il vino era di suo gradimento, nei suoi occhi appariva un barlume di profonda umanit, qualcosa che non riusciva mai a tradursi in parole; che si esprimeva non solo dopo il pranzo nei tratti silenziosi del volto, ma pi spesso e pi apertamente nelle azioni della vita. Era severo con se stesso: quando era solo beveva gin per castigare la sua predilezione per i vini di pregio, e, pur amando il teatro, non ne varcava la soglia da ormai venti anni”.
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