Paolo Rumiz. Di uno scrittore come lui ti rapiscono le storie che narra, certo, ma soprattutto il modo in cui le scrive.
Almeno, per me è così. Leggi i suoi reportage e lo senti davvero sul viso, il vento che sferza l’isola del faro. Ti sembra di averle accanto le signore dell’Est Europa che condividono con lui il sedile di un viaggio in treno. Da tanto tempo avevo voglia di ascoltarlo, anche, oltre che leggerlo. E questo piccolo desiderio si è avverato proprio qualche giorno fa! Sono riuscita ad ascoltare Paolo Rumiz e fargli i complimenti di persona. L’occasione è stata BookCity Milano, il luogo i Frigoriferi Milanesi, un cimelio di archeologia industriale (e oltre) diventato un centro di cultura a Milano.
Sono andata ad ascoltare Paolo Rumiz in un incontro che lo vedeva accanto alla fotografa polacca Monica Bulaj in un dialogo su viaggio e immagini (a proposito, fino al 30 ottobre lì è ospitata la sua bellissima e intensa mostra Dove gli dei si parlano, vi consiglio davvero di andare a vederla).
E sono tornata a casa contenta custodendo il suo autografo speciale. E ricordando il racconto, appena ascoltato, del suo modo di intendere il viaggio e la scrittura del mondo. E allora per custodirlo meglio ho pensato di imprimerlo sulla tastiera. Ed eccolo qui, anche per voi:
“Il viaggio è una brutta bestia – dice Paolo Rumiz -, spesso parte da molto lontano, ha un lungo periodo di incubazione, nasce a volte ad anni e anni di distanza dalla vera partenza, ma poi c’è un momento in cui si realizzano alcune condizioni, qualcosa ti riporta a galla qualcosa dalla tua memoria che attendeva di essere recuperato.
“Poi viene il momento della decisione, che è sempre piena di dubbi, quello che farai sarà altrettanto valido come nei viaggi precedenti?
I viaggi precedenti, tanto più riusciti tanto più difficili da replicare. Ogni viaggio ha il suo linguaggio, la sua metrica e la sua dimensione del taccuino: più il viaggio è sedentario e la gente ti racconta storie, più il taccuino deve essere largo per disegnare l’architettura di ciò che ti viene detto. Al contrario se il viaggio corre veloce hai bisogno di un taccuino dove annotare al volo.
Un altro momento difficile è il distacco dal libro, perché il desiderio di viaggiare viene molto spesso da una lettura, qualcosa che ti si sedimenta, che ti illumina.
Come fai a staccartene?
E poi la scrittura: ogni viaggio ha la sua. Che tempo devo usare? Il passato remoto, il presente storico, la prima o la terza persona? L’inizio della scrittura dei viaggi è più difficile dell’inizio del viaggio stesso.
Poi dalla testimonianza scritta passi alla rievocazione orale e capisci che quello è il suo compimento, la sua dimensione giusta.
“Non è mai la meta che conta in un viaggio ma il percorso, a fare il viaggio non sono i luoghi ma sono le persone”.
Sembrano frasi fatte, aforismi banali, ma quando le senti pronunciare da uno come Paolo Rumiz senti che forse sono delle grandi verità, perché Rumiz è uno che di strada sotto le scarpe, e di incontri con la gente, se ne intende.
E poi: “In un certo momento capisci che non ha più senso governare il timone. E lasci che sia il viaggio a portarti. Da quel momento ti accadranno le cose che desideri”…