New York è un unico, immenso, elettrizzante set cinematografico. Su questo siamo tutti d’accordo. Sfido chiunque a non aver pensato la stessa cosa, la prima volta che ha messo piede nella Grande Mela.
A me è successo. I miei ricordi della prima (e purtroppo finora unica) conoscenza con New York si sfilacciano con le immagini del cinema. Mi sorprendevo ad esclamare a ripetizione i nomi dei film ogni volta che qualche angolo colpiva il mio sguardo, e chiunque ci sia stato concorderà che accade praticamente spessissimo.
Ma mi sono chiesta: e con i libri come la mettiamo? Impossibile che una città musa di così tanti registi non abbia allo stesso modo ispirato anche gli scrittori. Anche perchè, in effetti, tante pellicole non sono altro che fortunate trasposizioni sullo schermo di parole scritte.
E così, come abbiamo fatto con Barcellona, ho iniziato a raccogliere titoli di romanzi ambientati a New York, o dalla Grande Mela ispirati. Qui i primi dieci che mi sono venuti in mente, non tutti li ho letti, e anzi aspetto i vostri commenti a riguardo. Ma di quanto si potrà allungare questa lista? Secondo me di tanto, non è vero? Aiutatemi voi, suggeritemi il “vostro” libro simbolo di New York. Per un sequel che si rispetti, nella migliore tradizione di Hollywood!
Nero a Mahattan (Jeffery Deaver)
Oscura
“Per la prima volta in sei mesi, si sentiva al sicuro.
Dopo due cambi di identità e tre nuovi indirizzi, cominciava davvero a credere di averla scampata.
Una nuova sensazione si era impossessata di lui, una tranquillità inconsueta. Era da tanto che non provava nulla di simile, pensò, mettendosi a sedere sul letto della sua camera d’albergo, con vista sullo strano arco argentato che incorniciava il lungofiume di St. Louis. Respirò l’aria primaverile del Midwest”.
Il giovane Holden (Jerome D. Salinger)
Irriverente
“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d’infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto -chi lo nega – ma anche maledettamente suscettibili”.
L’Età dell’Innocenza (Edith Wharton)
Borghese
“Agli inizi degli anni Settanta, una sera di gennaio, Christine Nilsson cantava nel Faust all’Accademia di Musica di New York. Sebbene si parlasse già di costruire in una zona metropolitana lontana dal centro un nuovo teatro dell’opera, che per l’alto costo e per lo sfarzo avrebbe retto il confronto con quelli delle grandi capitali europee, il bel mondo si accontentava ancora di tornare a radunarsi ogni inverno nei mal ridotti palchi addobbati di rosso e oro dell’accogliente vecchia Accademia”.
Le mille luci di New York (Ian McInerney)
Concitata
“Tu non sei esattamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vedere in un posto come questo a quest’ora del mattino. E invece eccoti qua, e non puoi certo dire che il terreno ti sia del tutto sconosciuto, anche se i particolari sono confusi. Sei un in nightclub e stai parlando con una ragazza rapata a zero”.
Un albero cresce a Brooklyn (Betty Smith)
Epica
“Riposante”. Era l’aggettivo che si sarebbe potuto usare per Brooklyn, soprattutto nell’estate del 1912. “Monotono” andava forse meglio, ma non per il quartiere di Williamsburg. “Prateria” aveva un bel suono, e Shenandoha era molto musicale. Ma queste non erano parole veramente adatte per Brooklyn”.
La Trilogia di New York (Paul Auster)
Enigmatica
“Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all’apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso. Ma questo fu molto tempo dopo. All’inizio, non c’erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito a partire dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo” (La città di vetro)
Colazione da Tiffany (Truman Capote)
Iconica
“Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Per esempio, nella Settantesima Est c’è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorchese. Era una stanza sola affollata di mobili di scarto, un divano e alcune poltrone paffute, ricoperte di quel particolare velluto rosso e pruriginoso che ricolleghiamo alle giornate d’afa in treno. Le pareti erano a stucco, di un colore che ricordava uno sputo tabaccoso. Dappertutto, perfino in bagno, c’erano stampe di rovine romane, molto vecchie e tempestate di puntolini scuri. L’unica finestra dava sulla scala di sicurezza”.
Sex and the City (Candace Bushnell)
Modaiola
“Benvenuti nell’Età della Non-Innocenza. Le luci di scena che facevano da sfondo ai convegni gonfiabustini di Edith Wharton sono ancora accese, ma il palco è deserto. Nessuno va a fare colazione da Tiffany, e nessuno ha storie da ricordare: noi facciamo colazione alle sette del mattino e abbiamo storie che cerchiamo di dimenticare il prima possibile. Com’è che ci siamo messi in questo casino?”
Sei per uno (Rex Stout)
Gialla
“Deposi il supplemento illustrato domenicale del “New York Times” e sbadigliai. Guardai Nero Wolfe e sbadigliai di nuovo.
«Questo S. J. Woolf è, per caso, vostro parente?»
Wolfe lanciò una freccia e colpì un re di fiori nel bersaglio, senza prestarmi attenzione. Continuai:
«No, non può essere vostro parente, perché il nome è scritto in modo diverso. Vi ho fatto questa domanda perché mi era balenata un’idea nella zucca. Non credete che potrebbe giovare ai vostri affari se questo S. J. Woolf, che è un redattore del “Times”, pubblicasse un bell’articolo sulla vostra attività corredato di una bella fotografia?»
Wolfe borbottò qualcosa di intelligibile e si chinò a raccogliere una freccia che gli era caduta”.
Kitchen Confidential (Antony Bourdain)
Rivelatrice
“Non fraintendetemi: io amo il mondo della ristorazione. Diavolo, ne faccio ancora parte – sono chef da una vita, addestrato secondo i canoni della tradizione classica, e nel giro di un’ora starò probabilmente rosolando le ossa per la demi-glace e facendo a pezzi filetti di manzo in una scalcagnata cucina a sud di Park Avenue.
Non sto per vuotare il sacco su tutto quello che ho visto, imparato e fatto nella mia lunga e documentata carriera di lavapiatti, sguattero, addetto alla friggitrice e poi al grill, salsiere, sous-chef e chef solo perché sono furioso contro il sistema o perché voglio sconvolgere i clienti che stanno cenando. E vorrei continuare a fare lo chef anche dopo che questo libro sarà stato pubblicato, perché questa vita è l’unica che conosco davvero”.
E’ vero: New York è un set cinematografico. Ovunque ti giri c’è un “angolo famoso” e poi Broadway: fantastica! Ho avuto il piacere di vedere lo spettacolo “Spiderman” ed è stato davvero emozionante. Tutto perfetto. Città splendida!