Sapete qual è uno dei modi che preferisco per entrare nel mondo di uno scrittore? Visitare i luoghi in cui è vissuto. Perché in fondo è anche questo il bello di scoprire il mondo dei nostri scrittori preferiti entrando in punta di piedi! Non si tratta solo di visitare musei famosi, ma di lasciarsi ispirare. Lo fate anche voi? Quando io entro nella casa museo di uno scrittore – non importa, in effetti, se sia il mio preferito o se lo conosca appena – mi piace prendermi del tempo, camminare lentamente, per avere tutta la possibilità di scrutare i dettagli e fantasticare. E’ così che mi piace descrivere le mie visite, e oggi infatti vi parlo di un libro che, appena scoperto, ho pensato subito che sarebbe stato perfetto accanto al mio! È “Le case dei miei scrittori”, di Evelyne Bloch-Dano, Add Editore, e quello che vi illustravo l’autrice qui in fondo lo fa, intrecciando le descrizioni degli ambienti e il racconto delle vita con suoi aneddoti e ricordi personali.
Già nel titolo fa pensare a uno scrigno personale, una scelta dettata dal cuore, e che probabilmente ciascuno di noi avrebbe raccolto e raccontato in modo diverso. Sono oltre cinquanta le case visitate e raccontate, con toni spesso evocativi, con tanta Francia e solo due indirizzi italiani.
Uno è in Piazza di Spagna, a Roma, la Keats Shelley Memorial House: le due stanze in cui il poeta inglese John Keats trascorse gli ultimi mesi di vita, insieme all’amico fraterno Joseph Severn, prima di morire giovanissimo (ed entrambi sono sepolti nel Cimitero Acattolico di Roma): l’appartamento è museo dal 1909 e un punto di riferimento per gli amanti del Romanticismo. L’altro indirizzo italiano è Capri, dove si trova la casa “tra Greco e Scirocco”, fusa con la natura selvaggia dell’isola, che Curzio Malaparte fece costruire dopo aver acquistato il terreno nel 1938, con pietra e maestranze locali.
C’è tanta Francia nel libro. Così sfogliando le pagine scopriamo per esempio che al Ritz di Place Vendome, Parigi, Marcel Proust era di casa, molto tempo prima che il giovane e squattrinato Ernest Hemingway, dopo la Grande Guerra, lo scoprisse grazie a Scott Fitzgerald (e qui pare sia stato ritrovato in un baule il manoscritto di Festa Mobile). Ah, naturalmente lo scrittore de Il vecchio e il mare torna anche nel capitolo Key West, con la villa coloniale in cui visse dal 1931 al 1940 e la famosa colonia di gatti a sei dita.
E, oltrepassando l’oceano, c’è il New England di Edith Warthon, con la tenuta The Mount, che la scrittrice vendette alla separazione dal marito per stabilirsi in Provenza. E c’è Concord, in Massachussets, a una trentina di km da Boston, con la casa che ispirò “Piccole donne, ovvero quella in cui visse Louisa May Alcott, ma anche i luoghi amati da Nathaniel Hawthorne ed Henry Thoreau.
Case, sì, ma anche dimore del cuore, rifugi insoliti e mondi sospesi. Come quelli di Alexandra David-Neel, in Francia, e di Karen Blixen, in Kenya.
La prima, parigina pioniera dei viaggi in Asia, la prima occidentale a entrare in Tibet, ricreò a Digne-les-bains, in Alta Provenza, Samten Dzong, la fortezza della meditazione, portandovi anche i cimeli delle sue avventure, tra tende, bagagli e sacchi di pelle di yak.
Della Blixen, invece, il Kenya custodisce la fattoria de La mia Africa, quella della sua vita, circondata da prati e bouganville, dove furono girati gli esterni del film (non gli interni per esiguità degli spazi). E all’interno realtà e finzione, racconta Evelyne Bloch-Dano, si mescolano, tra oggetti suoi e altri di scena, come i pantaloni indossati da Robert Redford nei panni del suo amato Denys Finch Hatton.